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lunedì 29 aprile 2013

Tra tradizione e magia...Carrellata di tradizioni sul Calendimaggio.


Nel folklore europeo il ritorno del mese di maggio veniva celebrato con feste e rituali, accompagnati da canti e danze, con cui si propiziavano la fertilità della Terra e le messi abbondanti nel futuro raccolto.

Le circostanze calendariali presentavano cerimonie incentrate sulla rinascita della vegetazione, che l'etnologo Van Gennep ha considerato "Riti di passaggio al tempo stesso cosmico, religioso ed economico".

Esistono ancora testimonianze di queste antiche celebrazioni nelle residue usanze del Majo, l'albero o il ramo inghirlandato di fiori e foglie simboleggiante lo spirito della vegetazione, portato in processione tra danze propiziatorie, oppure nella figura della reginetta di Maggio, per assicurare il buon raccolto, o in altre manifestazioni di religiosità' popolare, come il Laccio d'amore e i pellegrinaggi ai santuari collegati ai ritmi dell'agricoltura.

In uno studio sul palo di Maggio e sull' antica danza, con l'intreccio di nastri, attorno ad esso, si fa riferimento ad alcune celebrazioni di Maggio caratterizzate dal portare in processione alberi o rami fioriti (i Dendrofori, che nella festa primaverile di Attis, il cui mito della morte e rinascita periodica della vegetazione, pervenne nella religione romana dalla Frigia, portavano in corteo un pino che adornavano di bende, viole, simboli pastorali, ecc...) ancora presenti nelle feste del primo Maggio in alcuni paesi d' Abruzzo.

Lo stesso concetto aveva il "laccio d'amore", di Penna S. Andrea nel Teramano, che consiste nello sciogliere gli intrecci dl palo, di buon auspicio per l'annata agricola.

Cibi propiziatori, processioni invocanti il buon raccolto, riti magici per avere l'abbondanza, hanno tutti lo stesso significato delle cerimonie che nell'antica Grecia si svolgevano in onore di Adone e delle divinità della vegetazione.

Si tratta di riti e feste per scongiurare la Primavera, ossia la si chiamava facendo gli scongiuri, perchè non si escludeva che l'Inverno continuasse all'infinito e per evitare questa sciagura si chiamava la primavera (Vladimir Propp).

Queste cerimonie testimoniano la periodica scomparsa e rinascita della vita agraria, sulla vicenda perenne della morte e della risurrezione, come nel mito greco di Demetra e sua figlia Kore, cantate sin dai tempi di Omero

"Ma presto
come la Primavera tornasse, doveva fiorire
di lunghe spighe; e tutti di spighe recise gravarsi
i pingui solchi, e giunchi le avrebbero stretti in mannelli..."

Dalla letteratura etnografica (Frazer, Mannhardt, Van Gennep, ecc...) si conosce una delle più comuni simbolizzazioni del mese di Maggio in quasi tutta Europa, il rituale del "Verde Giorgio".

L'usanza del Verde Giorgio era diffusa anche nelle comunità slave del Molise e fu oggetto nel 1954 di una indagine di Alberto Mario Cirese, dove veniva chiamata “pagliara o majo”.

Il primo giorno del mese si usava fare un fantoccio, o meglio un cono con una intelaiatura di canne, con l'interno cavo, con due braccia, due gambe e una testa, interamente ricoperto di fronde, in cui si infilava un giovane che andava girando per il paese, ballando e cantando in dialetto slavo.

A San Felice in Molise e' ancora ricordato, tramite tradizione orale dagli anziani, questo canto:

"Maja, kata maja, oteja maja"
"Maggio, ecco Maggio che e' venuto".

Eseguito dai ragazzi che accompagnavano il giovane mascherato da Verde Giorgio, su cui venivano appesi rametti di ciliegio, piantine di fave con i baccelli e altri frutti di stagione.

Ma le usanze più diffuse di festeggiare il primo Maggio sono anche a carattere gastronomico, come la famosa "pignata di maggio o lessame", la minestra di legumi residui dalle provviste invernali, sette o nove, lessati insieme, chiamata anche "virtu'", usanza largamente diffusa e in uso, perchè tiene lontano gli insetti molesti (i ciampini)e fa abbondanza.

Questo piatto della tradizione veniva preparato la vigilia, mettendo a mollo i legumi, usando la cenere, e cotta nella pignatta la mattina del primo Maggio di cui si da' un piatto a chi viene a cercarla, e sono naturalmente i poveri. In alcuni paesi (Lanciano, San Vito...) e' costumanza di mangiare in questo giorno i fichi secchi. Chi non li mangia vedrà il Diavolo o il Serpente (lu cerefone), o sarà morso dall'Asino (M. Iavicoli 1920).


Fonte: Tradizioni popolari d' Abruzzo - Emiliano Giancristofaro

Ringraziamenti: Ringrazio Fabiola che ha scritto interamente questo articolo.


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