Nel folklore europeo il ritorno del mese di maggio veniva celebrato con feste e rituali, accompagnati da canti e danze, con cui si propiziavano la fertilità della Terra e le messi abbondanti nel futuro raccolto.
Le
circostanze calendariali presentavano cerimonie incentrate sulla
rinascita della vegetazione, che l'etnologo Van Gennep ha considerato
"Riti di passaggio al tempo stesso cosmico, religioso ed
economico".
Esistono
ancora testimonianze di queste antiche celebrazioni nelle residue
usanze del Majo, l'albero o il ramo inghirlandato di fiori e
foglie simboleggiante lo spirito della vegetazione, portato in
processione tra danze propiziatorie, oppure nella figura della
reginetta di Maggio, per assicurare il buon raccolto, o in
altre manifestazioni di religiosità' popolare, come il Laccio
d'amore e i pellegrinaggi ai santuari collegati ai ritmi
dell'agricoltura.
In
uno studio sul palo di Maggio e sull' antica danza, con l'intreccio
di nastri, attorno ad esso, si fa riferimento ad alcune celebrazioni
di Maggio caratterizzate dal portare in processione alberi o rami
fioriti (i Dendrofori,
che nella festa primaverile di Attis, il cui mito della morte e
rinascita periodica della vegetazione, pervenne nella religione
romana dalla Frigia, portavano in corteo un pino che adornavano di
bende, viole, simboli pastorali, ecc...) ancora presenti nelle feste
del primo Maggio in alcuni paesi d' Abruzzo.
Lo
stesso concetto aveva il "laccio d'amore",
di Penna S. Andrea nel Teramano, che consiste nello sciogliere gli
intrecci dl palo, di buon auspicio per l'annata agricola.
Cibi
propiziatori, processioni invocanti il buon raccolto, riti magici per
avere l'abbondanza, hanno tutti lo stesso significato delle cerimonie
che nell'antica Grecia si svolgevano in onore di Adone e delle
divinità della vegetazione.
Si
tratta di riti e feste per scongiurare la Primavera, ossia la si
chiamava facendo gli scongiuri, perchè non si escludeva che
l'Inverno continuasse all'infinito e per evitare questa sciagura si
chiamava la primavera (Vladimir Propp).
Queste
cerimonie testimoniano la periodica scomparsa e rinascita della vita
agraria, sulla vicenda perenne della morte e della risurrezione, come
nel mito greco di Demetra e sua figlia Kore, cantate sin dai tempi di
Omero
"Ma
presto
come
la Primavera tornasse, doveva fiorire
di
lunghe spighe; e tutti di spighe recise gravarsi
i
pingui solchi, e giunchi le avrebbero stretti in mannelli..."
Dalla
letteratura etnografica (Frazer, Mannhardt, Van Gennep, ecc...) si
conosce una delle più comuni simbolizzazioni del mese di Maggio in
quasi tutta Europa, il rituale del "Verde Giorgio".
L'usanza
del Verde Giorgio era diffusa anche nelle comunità slave del Molise
e fu oggetto nel 1954 di una indagine di Alberto Mario Cirese, dove
veniva chiamata “pagliara o majo”.
Il
primo giorno del mese si usava fare un fantoccio, o meglio un cono
con una intelaiatura di canne, con l'interno cavo, con due braccia,
due gambe e una testa, interamente ricoperto di fronde, in cui si
infilava un giovane che andava girando per il paese, ballando e
cantando in dialetto slavo.
A
San Felice in Molise e' ancora ricordato, tramite tradizione orale
dagli anziani, questo canto:
"Maja,
kata maja, oteja maja"
"Maggio,
ecco Maggio che e' venuto".
Eseguito
dai ragazzi che accompagnavano il giovane mascherato da Verde
Giorgio, su cui venivano appesi rametti di ciliegio, piantine di fave
con i baccelli e altri frutti di stagione.
Ma
le usanze più diffuse di festeggiare il primo Maggio sono anche a
carattere gastronomico, come la famosa "pignata di maggio o
lessame", la minestra di legumi residui dalle provviste
invernali, sette o nove, lessati insieme, chiamata anche "virtu'",
usanza largamente diffusa e in uso, perchè tiene lontano gli insetti
molesti (i ciampini)e fa abbondanza.
Questo
piatto della tradizione veniva preparato la vigilia, mettendo a mollo
i legumi, usando la cenere, e cotta nella pignatta la mattina del
primo Maggio di cui si da' un piatto a chi viene a cercarla, e sono
naturalmente i poveri. In alcuni paesi (Lanciano, San Vito...) e'
costumanza di mangiare in questo giorno i fichi secchi. Chi non li
mangia vedrà il Diavolo o il Serpente (lu cerefone),
o sarà morso dall'Asino (M. Iavicoli 1920).
Fonte: Tradizioni popolari d' Abruzzo - Emiliano Giancristofaro
Ringraziamenti: Ringrazio Fabiola che ha scritto interamente questo articolo.
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